Fin dalla loro prima apparizione nei luoghi di produzione, i computer hanno stimolato un acceso dibattito sulle loro conseguenze per i processi organizzativi e sociali del lavoro. Al centro di questo dibattito c’è la questione se l’adozione di tecnologie a base informatica conduca ad un miglioramento delle competenze o a un declassamento della qualificazione dei lavoratori. La tradizione di studi nota come “labour process”, risalente alla sociologia marxista nordamericana (Bravermann 1974) infatti sosteneva (e sostiene tuttora) che il capitale utilizzerebbe la tecnologia per deprivare il lavoro della possibilità di autodeterminazione e per aumentare il grado di controllo del primo sui processi produttivi – quindi per aumentare l’intensità dello sfruttamento del lavoro.
Nel nuovo working paper LIW, Saverio Minardi, Carla Hornberg, Paolo Barbieri, e Heike Solga, contribuiscono al dibattito sugli effetti di up-skilling piuttosto che di de-skilling derivanti dall’utilizzo della tecnologia e sulle ripercussioni di questa sulla qualità complessiva del lavoro umano analizzando, da un lato, la relazione tra l’uso di attrezzatura computerizzata e i tasks svolti dagli addetti e, dall’altro, la relazione tra l’uso del computer e la discrezionalità dei lavoratori nell’espletamento delle proprie mansioni lavorative.
Il paper prende in esame Germania e Regno Unito – considerati due modelli idealtipici opposti di regimi di produzione e pratiche di gestione organizzativa del lavoro e della produzione. Gli autori mostrano come l’uso di tecnologie informatiche in produzione migliori la qualità dei tasks svolti dagli addetti, nonché la discrezionalità degli stessi lavoratori rispetto alla propria attività lavorativa.
Qualità dei tasks e autonomia nell’organizzazione del proprio lavoro costituiscono infatti due dimensioni distinte delle competenze professionali (skill) dei singoli nonché due distinti mediatori del rapporto fra innovazione tecnologica e soddisfazione lavorativa.
I risultati indicano che, contrariamente a quanto sostenuto dagli approcci di “labour process”, la tecnologia in sé non ha un effetto de-qualificante sul lavoro svolto, ma al contrario contribuisce ad arricchire le mansioni dei lavoratori coinvolti. Tuttavia, i diversi contesti istituzionali in cui la tecnologia viene introdotta, così come le pratiche di gestione della forza lavoro adottate, possono portare ad esiti più o meno qualificanti e soddisfacenti per i lavoratori in termini di competenze professionali sviluppate e di qualità e soddisfazione sul lavoro.